La forma della sostenibilità

Riflessioni sul "ControDizionario" di Luigi Prestinenza Puglisi

Scrutando Il Contro Dizionario di Architettura, del Prof. Luigi Prestinenza Puglisi, si possono riconoscere alcune delle riflessioni che molti di noi hanno già avuto il piacere di leggere nei suoi post dei vari social network, che possono essere interpretati come piccole pillole per arricchire il percorso professionale di un architetto. Ci si può subito rendere conto che la raccolta di questi ragionamenti, ora riordinati in questo prezioso compendio alfabetico, consente di sottolineare, annotare e riflettere con maggiore profondità rispetto ai temi trattati.

Alcune riflessioni possono essere particolarmente vicine al proprio modo di pensare, mentre altre stimolano a mettere in discussione le proprie convinzioni. In alcuni casi, ci si può sentire chiamati in causa dalle critiche che l’autore rivolge alla figura dell’architetto e al suo modo di ragionare (#citazioni, #diogiudice, #imbroglio).

Come piace sottolineare a LPP, le priorità e le sensibilità cambiano con il tempo, e ciò che oggi riteniamo importante potrebbe non esserlo domani, o viceversa, potremmo ritrovarci a rileggere appunti cercando risposte a domande che probabilmente risposta non hanno (#insonnia). È con questo spirito che è bene avvicinarsi a quest’opera, trovando in essa nuovi spunti di riflessione su temi che da sempre affascinano l’architetto e rappresentano ambiti di discussione e di approfondimento.

Due temi, in particolare, colpiscono ed emergono da questa raccolta:

  • La bellezza: un concetto in costante esplorazione e, nonostante la difficoltà, oggetto di ricerca di una definizione univoca e universale che riesca a convincere più delle altre (senza ovviamente avere successo).
  • L’architettura sostenibile: un tema cruciale del nostro tempo, su cui ancora pochi studi concentrano gran parte della propria ricerca applicata alla progettazione.

Con questo scritto, si vuole soffermarsi su quest’ultimo punto, spinti dal naturale desiderio di condividere alcune riflessioni, che potrebbero essere riassunte sotto il titolo: “La forma della sostenibilità”.

LA FORMA DELLA SOSTENIBILITA’

I termini #immagine, #forma/funzione, e #cinquepunti sono centrali nel discorso della sostenibilità in architettura e, ciascuno ramificandosi in un complesso intreccio di parole che esplorano l’ambiguo e incerto rapporto tra la forma architettonica e l’urgenza ambientale, sono quelli che spronano a svolgere ulteriori approfondimenti.

Rattrista osservare che molti studi di architettura, pur stimati dal punto di vista progettuale, associno il termine “sostenibilità ambientale” ai propri lavori, come se fosse una ricerca primaria e distintiva, mentre, ad un’analisi più attenta, questa sostenibilità risulta spesso superficiale o addirittura inesistente (#greenwashingeconcept; #greenwaschingeipocrisia). Ne fanno da esempio i molti edifici realizzati in calcestruzzo con isolamenti interni di origine fossile, materiali che, una volta placcati, nascondono del tutto la qualità costruttiva; oppure edifici oggettivamente energivori che soddisfano a malapena i requisiti normativi grazie a impianti sovradimensionati, dimenticando che la vera sostenibilità ambientale dovrebbe partire dalla riduzione del consumo dell’involucro edilizio e dall’uso di materiali naturali, integrando l’impiantistica solo in un secondo momento.

La critica nasce dall’osservare questi progetti, esteticamente affascinanti, che danno priorità all’aspetto visivo (ciò che si vede) trascurando la progettazione costruttiva legata all’energia (ciò che non si vede). Non sarebbe magnifico vedere questi studi, giustamente celebrati da riviste e siti specializzati, impegnarsi sinceramente anche nell’aspetto energetico delle loro opere, evitando una comunicazione superficiale solo perché il tema energetico rappresenta l’aspetto caratterizzante di questo periodo storico? Ci sono, per fortuna, alcuni architetti *[1] che percorrono questa strada, cercando di coniugare architettura e sostenibilità in modo autentico. Senza dubbio evidenti esempi da seguire anche per i giovani architetti.

Riflettendo, invece, sulla relazione tra sostenibilità e forma (#forma/funzione), ci si può domandare se la prima influenzi la seconda. La risposta, forse, potrebbe essere più negativa che positiva nell’architettura contemporanea (#immateriali, #scenariofuturo; #verde). La globalizzazione del linguaggio architettonico odierno non richiede necessariamente una specifica appartenenza al luogo in cui si progetta (#hadideilvaso; #sintassieparattassi), al contrario il binomio forma/sostenibilità ambientale rappresentava con successo il tempo in cui l’uomo costruiva senza sapere di fare architettura ma dove il costruire era la semplice conseguenza di una necessità essenziale di riparo e di protezione, dove la tecnologia utilizzata era povera ma intelligente che sfruttava al massimo le poche risorse a disposizione *[2]. Pensiamo, tra tanti esempi, al trullo, nato per affrontare il caldo mediterraneo, o all’architettura vernacolare di montagna, sviluppata per resistere a forti intemperie.

L’architettura di grado zero, costruita per rispondere ai veri problemi della sopravvivenza, massimizzava semplicità ed economia senza la grande possibilità tecnologica moderna (#arteearchitettura). Oggi, la tecnologia permette di creare edifici che possono assumere qualsiasi forma e relazione con l’ambiente circostante, influenzati solo da ideologie che possono essere più o meno legate al Genius loci*[3] (#geniusloci). Tuttavia, la principale esigenza dell’uomo di oggi è sicuramente legata alla crisi climatica. Con l’edilizia responsabile del 45% delle emissioni globali di CO2, l’architettura ha una grande responsabilità. Forse, paradossalmente, una buona edilizia potrebbe avere un impatto migliore di una buona, ma limitata, architettura.

Questa riflessione porta a chiederci se non dovremmo riconsiderare il nostro rapporto con l’ambiente, non tanto per proteggerlo, poiché la natura è indifferente al nostro operato (#natura), ma per garantire effettivamente la nostra stessa sopravvivenza.

I CINQUE (SECONDI) PUNTI DELL’ARCHITETTURA

Se volessimo, provando a giocare, cercando un criterio per mettere in relazione la nuova dimensione ecologica con le forme della nostra “hypermodernità”, come Le Corbusier aveva fatto per il movimento moderno attraverso la costruzione dei cinque punti dell’architettura, sicuramente potremmo tenere in considerazione alcune tematiche rilevanti nel fare architettura contemporanea:

  1. Off-site e processi 3D            (come)
  2. Materiali naturali                    (con cosa)
  3. Flessibilità                              (in che modo)
  4. Energia                                   (obiettivo)
  5. Felicità                                   (perché)

1- Off-site e processi 3D

Partendo dalle varie strategie di un’architettura sostenibile le tecniche e le modalità con cui costruiremo i nostri edifici rappresenterà un tema di primaria importanza nel prossimo futuro, non solo per evidenti vantaggi costruttivi ma anche e soprattutto per la previsione di una diminuzione della manodopera edile. Sempre a vantaggio di un benessere collettivo, il lavoro manuale che richiede molta forza fisica, verrà sempre di più sostituito da varie tecniche di costruzioni che, non sostituiranno improvvisamente le tecniche tradizionali, ma rappresenteranno un’evoluzione del lavoro, eseguito in modo più preciso, veloce e sicuro. Ecco che costruire un edificio off-site *[4] o ancor di più adottando sistemi di costruzione tramite processi 3D *[5] potranno sicuramente influire nella morfologia dell’architettura contemporanea.

2- Materiali naturali

I materiali naturali *[6] rappresentano e rappresenteranno, per la maggior parte dei casi, una delle scelte più virtuose che possa fare un progettista. Anche questa voce potrebbe influenzare la forma finale dei nostri edifici, non tanto per l’utilizzo del materiale in sé, ma piuttosto attraverso il cambio di approccio verso l’architettura cercando di riappropriarsi del rapporto diretto con i materiali costruttivi. L’utilizzo eccessivo del calcestruzzo armato, ad esempio, è responsabile dell’8% delle emissioni globali di CO2, un impatto quattro volte superiore a quello del trasporto aereo *[7]. Ostinarsi ad utilizzare questi tipi di materiali, seppur in architetture straordinarie, dimostrano quanto ancora sono radicati nella nostra società alcuni preconcetti legati alla durabilità e il concetto di opera “eterna”. Puntare su materiali sostenibili, pertanto, potrà effettivamente non influire sulla forma finale dei nostri edifici ma sicuramente inciderebbero sulla forma del nostro pensiero che quegli edifici li immagina e li costruisce.

3- Flessibilità 

La nostra generazione è ancora figlia di una cultura dell’insegnamento accademico dove l’edificio deve durare per sempre, dove l’opera deve trascendere e rimanere ai posteri nel più lungo periodo possibile per poter lasciare una traccia indelebile del nostro passaggio (#morte; #eterno).

Niente di più sbagliato! Certo possiamo convenire che un edificio ben progettato e che resista bene all’azione degli agenti atmosferici (anche i più intensi) sia una forma di sostenibilità perché garantisce una lunga durata all’edificio dove le manutenzioni e la sua eventuale demolizione resista al tempo proprio per questo ragionamento iniziale *[8]. Ma se pensare che l’edificio progettato poteva propendere all’eternità era una valida considerazione per alcuni grandi maestri del passato, farlo oggi pensando di far parte di quella categoria forse è un errore di presunzione.

La flessibilità è sicuramente uno dei temi fondamentali dell’architettura contemporanea, non pretendendo che un edifico possa assumere un numero infinito di funzioni, ma sicuramente abbia la capacità di adattarsi alle varie esigenze del tempo che cambiano inevitabilmente. Pensare, quindi, all’edificio come a un organismo capace di mutare nel corso del tempo significa ribaltare l’approccio tradizionale dell’architettura occidentale e concepire il costruito come una “banca dei materiali”, in cui, valutando attentamente il fine vita dell’edificio, si possa recuperare la maggior parte dei materiali per rigenerare nuovi elementi costruttivi o, laddove il recupero non fosse possibile, trasformarli in energia.

4- Energia

Più che alta prestazione energetica sarebbe bene prediligere un’espressione più diretta come quella del basso consumo energetico.

L’energia è ormai da anni una dei temi più incombenti che determinano la ricchezza di uno stato, di una società e dei popoli che ne fanno parte. La guerra dell’energia rappresenta in via definitiva l’emergente ricerca di quel sostentamento che permette di mantenere un determinato confort che orami alcune società si sono abituate a vivere ogni giorno *[9]. Ecco che a questo punto emerge il senso del consumo, in questo caso dei nostri edifici, che rappresenta il vero fulcro del funzionamento delle nostre architetture.

In continuazione si rilevano affermazioni roboanti di molti studi di architettura che progettano edifici nZEB e a bassissimo impatto ambientale dove in realtà gli edifici da quest’ultimi progettati sono dei veri e propri colabrodi energetici bilanciati ottimamente da un sistema impiantistico sovradimensionato che porta in positivo la produzione di energia (#casaecologica; #greco). Ma se davvero dovessimo preservare le energie che vengono convogliate per un edifico bisognerebbe valutare attentamente alcuni parametri dei materiali che vengono utilizzati per costruirlo (come, per esempio, l’embodied energy o il carbon footprint), valutare il vero fabbisogno energetico dell’involucro edilizio calcolando solo in un secondo momento l’impianto minimo per poter bilanciare il carico energetico invernale ed estivo, e in ultima battuta l’energia richiesta per la sua decostruzione.

Per quanto riguarda la relazione che potrebbe esserci tra energia e forma a questo punto l’affermazione non potrebbe essere che positiva immaginandosi un edificio che tenta, attraverso ponderate scelte strategiche, di proteggersi dal caldo sole estivo favorendo invece l’ingresso di apporti esogeni in fase invernali, studiando attentamente le varie schermature solari, valutando l’utilizzo di luce naturale e lo studio dell’illuminamento che per alcuni aspetti permette di calcolare l’autonomia luminosa incidendo concretamente sul costo dell’illuminazione artificiale non più necessaria, e altre strategie che indubbiamente potranno influenzare la morfologia dei nostri edifici.

5- Felicità

Felicità (#felicità) è un termine che non ci si aspetta in ambito architettonico ma può essere sicuramente utilizzarlo come quinto (secondo) punto dell’architettura contemporanea inteso come un fine.

Purtroppo, in molti studi di architettura gli ambienti lavorativi sono tutt’altro che felici, o per lo meno sereni. Non che questo influisca sulla buona architettura sia chiaro (se studiamo la vita privata di alcuni di quelli che oggi chiamiamo “maestri” ci si piò subito rendere conto del carattere ostile e difficile che la maggior parte di essi possedeva. #cavalla; #lessismore; #reich), ma sicuramente un approccio più disteso e sincero può essere la chiave per creare un gruppo di lavoro che lavora in armonia. Si deve dunque, nonostante le difficoltà, gli ostacoli e dei non irrilevanti “granchi” inevitabili in una carriera di architetto, puntare alla felicità come sentimento che alberghi nel cuore di ogni progettista affinché possa trasmetterlo nei suoi progetti e ai propri fruitori. In questo senso la felicità è un valore da ricercare sempre, perché, in qualche modo, rappresenta la vera essenza della vita e in via definitiva di un’idea più leggera di fare architettura (#smart; #velleitàestetizzanti).

*[1]

Alcuni progetti esemplari si distinguono per un approccio energetico in architettura che recupera una relazione autentica con la natura riportati di seguito. Un aspetto comune e rilevante tra questi progetti è la scelta di soluzioni “low tech” rispetto al più consueto “high tech”. Gli elementi architettonici riducono la complessità tecnologica, semplificando la stratificazione dei pacchetti tecnici e puntando su pochi materiali ben studiati. Tra questi progetti, il “Tanzhaus Zurich” progettato da Barozzi/Veiga dove l’utilizzo di un calcestruzzo isolante e lo studio di un ombreggiamento rampicante ha permesso di restituire un’estetica dell’architettura che rispecchia la struttura senza l’esigenza di seconde pelli, cappotti o facciate ventilate, inoltre lo studio degli ombreggiamenti tramite piante rampicanti decidue permette l’ombreggiamento estivo e il passaggio di luce solare nella fase invernale. Il secondo progetto si riferisce alla “ciAsa” dello studio Pedevilla Architects dove il principio di utilizzare un solo strato di materiale che componesse gli elementi costruttivi dell’edificio ha permesso di restituire un’architettura autentica e fedele a sé stessa. Difatti l’utilizzo di un sistema di x-lam massiccio (ad incastro) ha permesso la non necessità di utilizzo di cappotto termico rivestendo il materiale strutturale direttamente con una trama di scandole tipiche del luogo in cui si trova l’opera progettata (l’edificio è stato certificato CasaClima classe A). Un ulteriore progetto potrebbe essere “Tecla”, progettata da Mario Cucinella in collaborazione con WASP srl che rappresenta il prototipo forse più empatico con la natura, infatti l’edificio, interamente stampato in 3D con terra cruda, utilizza il materiale del posto per dare vita ad un’architettura a basso impatto ambientale che non necessita di molti materiali che compongono i vari pacchetti tecnologici, ma massimizzano, attraverso la tecnologia 3D, un materiale povero e antico come la terra cruda.

*[2]
Concetto ben esplorato nel libro “La meccanica dell’architettura”; La progettazione con tecnologia stratificata a secco di Marco Imperadori (Arketipo Monografie, Gruppo 24 Ore, 2010). In questo volume, il Prof. Imperadori del Politecnico di Milano approfondisce l’approccio costruttivo dell’architettura a secco, analizzando la differenza tra assemblaggio a secco e stratificazione a secco.

*[3]

Nella spiegazione del significato della parola Architettura perseguita dal Prof. Renato Rizzi il Genius loci, e quindi lo studio approfondito del luogo (àrche), rappresenta la parte indominabile di un progetto dove l’unica azione che possiamo svolgere è l’ascolto. Il progetto quindi, secondo Rizzi, nasce da una prima interpretazione del luogo in cui sono sedimentati dei riferimenti che forgiano la forma annullando, in un primo momento, l’individualità dell’architetto avvalendosi della sua singolarità attraverso l’interpretazione di quei riferimenti che danno vita alla rappresentazione del progetto estetico. Fonte: Isplora.com (Film: Forma e ossessione)

*[4]

Mentre un’architettura stampata 3D può effettivamente influire nell’idea che da forma all’edificio conseguentemente legata all’approccio della tecnica costruttiva, con la tecnologia off-site non si hanno quasi più limiti se non economici. Mentre solo pochi anni fa alcune ideologie passavano strettamente attraverso l’utilizzo di un materiale, con l’off-site si può scegliere il materiale che si desidera, in base alle varie valutazioni progettuali, e raggiungere vari tipi di ideologie.

Prendiamo per esempio la stereotomia e la tettonica. Per massimizzare il concetto stereotomico sarebbe bene utilizzare materiali pesanti e che trasmettano un senso di massa come, per esempio, la pietra o il calcestruzzo. Al contrario se volessimo esaltare l’aspetto tettonico, dove la giunzione e l’utilizzo di più elementi creano l’unicum compositivo ecco che materiali come acciaio e legno si prestano meravigliosamente.

Oggi però, con la possibilità tecnologica che abbiamo a disposizione è possibile trasmettere un certo senso di stereometria utilizzando acciaio o legno o al contrario cercare un linguaggio tettonico utilizzando pietra o calcestruzzo. Questo risultato è consentito in molti casi anche dall’utilizzo di rivestimenti. Che essi siano cartongessi, doppie pelli o pezzi speciali sagomati essi nasconderanno per sempre la vera natura della struttura dell’edificio garantendo la massima libertà espressiva. La forma finale non corrisponde alla forma strutturale. Sicuramente un’arma a disposizione dell’architetto che amplia la possibilità creative annullando in qualche modo vincoli e limiti che solo pochi anni fa contenevano in qualche modo il processo progettuale.

*[5]

Molti sono ormai gli studi di quest’avanguardia. Tra tutte le più celebri costruzioni sono rappresentate da:

  • “Tecla” di Mario Cucinella Architects a Massa Lombarda (RA), il primo prototipo abitativo stampato in 3D con terra cruda, sviluppato in collaborazione con WASP srl.
  • “Project Milestone” di Houben/Van Mierlo Architecten a Eindhoven, considerato il primo complesso residenziale al mondo stampato in cemento 3D.
  • “Chicon House” a Austin (TX), la prima abitazione stampata in 3D negli Stati Uniti.

La vera forza di questa tecnologia è l’utilizzo del materiale locale messo a servizio per la costruzione di un edificio a bassissimo impatto ambientale che affonda la sua ideologia nelle esperienze più antiche dell’umanità. La forma, in questo caso, è davvero specchio della sostenibilità perché asseconda una strategia costruttiva ottimizzata per il tipo di materiale utilizzato. Un solo materiale che adempie a tutte le caratteristiche fisico-tecniche richiesta in grado di essere plasmato da una stampante 3D che opera grazie ad un livello altissimo di progettazione, ingegnerizzazione e studio del processo costruttivo.

*[6]

La “Construction Material Pyramid“, sviluppata dalla Royal Danish Academy Center for Industrialized Architecture, è ormai un riferimento consolidato nel settore, analogo alla piramide alimentare, e classifica le macrocategorie dei materiali edili in base al loro impatto ambientale.

*[7]

Dati raccolti dalla partecipazione seminario “Open House – All’insegna della natura” – “Naturalovers Days” del 02.02.2024 organizzato da Naturalia-Bau srl, con la partecipazione di Norbert Lantschner.

*[8]

Curiosità: partecipando al seminario “Carlo Scarpa architetto poeta” del 28/04/2022 dove Pietro Los presentava l’omonimo libro dedicato al maestro veneziano (uno degli architetti più capaci della storia dell’architettura italiana), il Prof. Francesco Dal Co, presa la parola, si sofferma sull’aspetto della sostenibilità in architettura, riportando il ragionamento descritto nel testo, ovvero come una buona progettazione che duri nel tempo possa in qualche modo essere sostenibile proprio per il fatto che esso resista ad esso. Noti anche altri suoi interventi su Carlo Scarpa dove spiega che il maestro veneziano è stato facilmente ed erroneamente accostato ad un’architettura aristocratica e dispendiosa dimostrando, attraverso l’esempio del “quarto eccentrico” dell’ingresso di Castelvecchio a Verona, come tutto al contrario Scarpa riutilizzava i pezzi di marmo di scarto per poter minimizzare i rifiuti di cantiere.

A fine conferenza l’arch. Pietro Los racconta qualche piccolo aneddoto a due conoscenti sull’intervento che aveva diretto riguardo all’accesso solo disegnato da Scarpa per la sede dei Tolentini a Venezia. A quanto pare, per dare un aspetto lucente, quasi riflettente, alla vela che si pone a sbalzo come copertura d’ingresso, il calcestruzzo doveva essere casserato con del marmo nell’idea originale. Alla faccia della sostenibilità e del riuso. Si può facilmente immaginare che fine avrebbe fatto quel pezzo di pietra una volta finita la sua funzione.

*[9]

Umberto Galimberti ne’ “L’etica del viandante” etichetta la nostra società come la più tecnologicamente assistita dove efficienza e produttività sono gli unici valori che davvero contano e dove la tecnologia non è più un mezzo a servizio dell’umanità ma l’uomo ne è diventato mero funzionario.

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